In ricordo dei "Vespri Sardi" e l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794
Sa die de sa Sardigna, coraggio e determinazione di un popolo
Il 28 aprile, “Sa Die de sa Sardigna”, non è solo una data sul calendario: è il giorno in cui il popolo sardo celebra la propria identità, la propria forza, la memoria di una ribellione che ha segnato la storia.
Ogni anno, in questo giorno, i sardi ricordano il 28 aprile 1794, quando la Sardegna, stanca di soprusi e ingiustizie, insorse contro il dominio piemontese.
Per capire le radici profonde di questa celebrazione dobbiamo tornare indietro di secoli. Nel 1400 la Sardegna passò sotto il controllo spagnolo, rimanendovi per oltre tre secoli. Nel 1713, per un breve periodo, fu dominio austriaco, ma già nel 1720 passò nelle mani dei duchi di Savoia, che ne divennero sovrani. Tuttavia, il loro governo si rivelò disastroso: i sardi erano esclusi da ogni decisione, il Parlamento locale non poteva riunirsi, e l’isola precipitò in una condizione di grave arretratezza economica, fame e miseria. Le tasse erano altissime, le libertà inesistenti.
Nel frattempo, la Rivoluzione Francese diffondeva idee nuove: libertà, uguaglianza, autodeterminazione. Queste idee raggiunsero anche la Sardegna. Nel 1793 i francesi tentarono di invadere l’isola, sbarcando a La Maddalena e nella zona di Quartu Sant’Elena, ma trovarono una popolazione pronta a difendersi senza alcun aiuto esterno. I sardi respinsero l’invasione, dimostrando grande coraggio.
Forte di quella vittoria, il popolo sardo avanzò delle richieste al Re Vittorio Amedeo III di Savoia: riunire il Parlamento e affidare le cariche amministrative agli stessi sardi. Tuttavia, il sovrano rifiutò ogni richiesta. L’esasperazione esplose. A Cagliari, il 28 aprile 1794, i sardi si sollevarono, assediarono il quartiere di Castello, cuore del potere piemontese, e cacciarono i funzionari sabaudi dalla città.
Quel giorno, ribattezzato “Sa die de s’aciapa”, nacque una vera e propria sollevazione popolare: chiunque incontrasse un sospetto straniero gli chiedeva di dire “nara cixiri” (“dì ceci”), parola difficile da pronunciare correttamente per chi non era sardo. Chi falliva la prova veniva espulso.
La rivolta si estese a tutta l’isola. Anche i contadini, stanchi di pagare tributi ai baroni feudali, occuparono le terre, ispirati dal celebre canto di Francesco Ignazio Mannu, “Su patriota sardu a sos feudatarios”, che incitava i sardi a ribellarsi:
“Procurade moderare, barones, sa tirannia, chi si no, pro vida mia, torrades a pe’ in terra.”
La speranza di cambiamento crebbe con l’arrivo del giudice Giovanni Maria Angioy, inviato dal re per sedare le rivolte. Ma Angioy, osservando la miseria del popolo, si schierò dalla loro parte e guidò il movimento rivoluzionario. Celebre fu il suo ingresso trionfale a Sassari, simbolo di un sogno di libertà che però fu spezzato: tradito e abbandonato, Angioy fu costretto alla fuga e morì esule in Francia.
La repressione dei moti fu brutale. I piemontesi consolidarono il loro controllo e la Sardegna, piegata, rimase nell’arretratezza per tutto l’Ottocento. Solo nel 1861, con la nascita del Regno d’Italia, la Sardegna entrò a far parte della nuova nazione, ma molte promesse rimasero disattese.
Oggi, Sa Die de sa Sardigna è il simbolo eterno della volontà di riscatto del popolo sardo. È il richiamo a non dimenticare mai il valore della dignità, della libertà e della lotta per un futuro migliore. Per ogni sardo è un dovere, ieri come oggi, impegnarsi per rendere la propria terra sempre più giusta, prospera e libera.
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