Banditismo sardo, la storia di Samuele Stochino la Tigre d'Ogliastra
Samuele Stochino, conosciuto anche con lo pseudonimo “La Tigre d’Ogliastra”, è stato uno tra i più famosi banditi sardi.
Nasce ad Arzana, il 22 Maggio 1895, fu il 4° di 7 figli, com’era usuale a quell’epoca, cresce aiutando suo padre nella sua attività di pastore. Nonostante iniziò a lavorare giovanissimo, praticamente da bambino, Samuele Stochino imparò anche a leggere e scrivere, cosa quasi impossibile per quei tempi.
L’aspetto caratteriale che lo contraddistingue fin da bambino, è la sua particolare calma e la spiccata intelligenza, è un bambino molto inquadrato, dedito al lavoro con un marcato senso dell’ironia.
Samuele Stocchino svolse l’attività di pastore-capraro insieme a suo padre sino a che non arrivò la chiamata alle armi, all’insorgere della prima guerra mondiale.
Partì il 7 giugno 1915 e dopo un solo anno, venne messo nella prigione del corpo e condannato a un anno di reclusione, per essersi rifiutato di eseguire degli ordini, ma dopo soli 8 mesi di carcere venne rilasciato, il 27 marzo 1917 per buona condotta.
Successivamente fu assegnato all’86º Reggimento di fanteria nei territori del fiume Piave, dove in pochissimo tempo, si distinse per alcune sue peculiarità innate, in particolare per la rapidità di apprendimento delle tattiche militari e per aver sgominato una postazione nemica quasi in solitaria e assoluta autonomia.
Questo le consentì di passare di grado e diventare sergente, ricevendo poi la medaglia d’argento al valor militare.
Samuele Stochino in seguito alla fine della prima guerra mondiale, decise di tornare nel suo paese di origine, ma questa scelta si rivelò infausta, nonostante la positiva carriera militare per lui fu l’inizio della fine.
Dopo alcuni mesi dal suo rientro in Sardegna, venne sorpreso a rubare alcuni maiali, lo scoprirono perchè fu tradito da alcuni suoi amici, che forse tanto amici non erano, che per qualche motivo, lo volevano in carcere.
Fu arrestato per questo reato, ma riuscì a sfuggire alla gendarmeria e da quel momento ebbe inizio la sua latitanza e si trasformò in un bandito.
Il Regime fascista di Benito Mussolini diede inizio a una caccia all’uomo, in quanto tutti i banditi sardi venivano considerati dei nemici da estirpare.
La vita per Samuele Stocchino lui si fece sempre più complicata, e ancora di più per la sua famiglia, ostacolata dal Regime e dalle famiglie avverse che si scagliarono contro di loro.
I primi a pagare le conseguenze furono alcuni suoi familiari che furono praticamente perseguitati, la casa dei nonni fu data alle fiamme e la sorella Maria venne arrestata per favoreggiamento, anche se totalmente estranea ai fatti. Il padre ricevette lo stesso trattamento, perseguitato e tormentato mentre svolgeva il suo lavoro.
Questo creò in Samuele Stochino un crescente e profondo rancore, che lo indusse a commettere diversi omicidi, circa 12, tra uomini e donne.
Tra le sue vittime, anche una bambina di dodici anni, figlia di Antonio Nieddu, suo acerrimo nemico di Arzana.
Questo omicidio diventò una macchia nel suo onore e nella sua storia, e fu per lui motivo di grande dispiacere, una volta resosi conto di ciò che aveva fatto, si portò dietro questo cruccio fino alla fine dei suoi giorni.
I suoi omicidi erano brutali, inoltre, era sua abitudine lasciare sui corpi delle vittime dei messaggi rivolti alle autorità.
Con le autorità infatti, ci furono frequenti scontri a fuoco, e sia per questo motivo, che per la ferocia dei suoi omicidi, fu soprannominato “La Tigre dell’Ogliastra”.
Samuele Stochino morì a Ulassai il 20 febbraio 1928, pochi giorni dopo aver ucciso la piccola 12enne.
Con ogni probabilità, ucciso da una spia e consegnato ai carabinieri già morto, i quali, simularono un conflitto a fuoco per ottenere dei riconoscimenti per la sua “cattura”.
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